“Non si può non comunicare” neanche ai tempi del Coronavirus

“Non si può non comunicare” neanche ai tempi del Coronavirus

Quando ad ostacolare la comunicazione ci sono barriere più grandi di noi

Da ormai quasi due mesi, questa improvvisa e decisamente dirompente emergenza sanitaria legata a questo nuovo virus, il Covid-19, è arrivata a colpire anche il nostro paese, con dei ritmi che fanno riflettere e scuotono le coscienze di noi tutti.

Per quanto l’aspetto sanitario rimanga la priorità su tutte, le conseguenze anche su altri piani significativi della nostra vita cominciano a farsi sentire. Sono cambiate in maniera repentina e drastica le nostre routine e le nostre abitudini perché via via questo virus ha interessato tutta la nostra penisola, senza eccezione alcuna.

La gestione caotica dei media, d’altro canto, sta generando una schizofrenia di notizie i cui effetti sembrano essere più dannosi del virus stesso. Accanto ad un crescente isterismo, persistono allo stesso modo comportamenti apparentemente “irresponsabili” di persone che palesemente disattendono quelle che sono le prescrizioni dettate dal Governo e che risultano invece essere fondamentali per cercare di contenere la diffusione del disagio, soprattutto a quelle categorie più a rischio e vulnerabili (anziani, bambini e persone con disturbi cardio-respiratori). Sembrano voler continuare le loro vite come se nulla fosse. Beh, anche questo è un meccanismo di difesa.

Senza dubbio ognuno di noi ha la responsabilità di contenere questa situazione e tutti siamo chiamati a fare la nostra parte, ognuno per le proprie possibilità ma sempre con responsabilità e coscienza.

La pericolosità di questo virus sta nel fatto di essere altamente contagioso, molto più delle normali influenze stagionali: sembra proprio voler porre delle barriere tra le persone, tanto che sia il Governo che le Regioni hanno prescritto tutta una serie di comportamenti e norme interpersonali da osservare obbligatoriamente.

Una fra tutte riguarda il “mantenere una certa distanza tra le persone, meglio se almeno di 1/2 mt”, e di “evitare abbracci e strette di mano”.

Non c’è dubbio che queste prescrizioni, assolutamente da osservare per tutelare noi stessi e le persone intorno a noi, vanno a modificare radicalmente quelli che sono i nostri processi di comunicazione interpersonale, radicati non solo nelle nostre abitudini ma anche nella nostra cultura.

In particolare,  la distanza interpersonale cosi come il tipo di gesto scelto per un saluto, sono degli indicatori fondamentali che ci informano sul tipo di relazione e sul suo livello di intimità. Per cultura e tradizione, siamo soliti abbracciare gli amici, i famigliari e siamo soliti invece dare la mano in contesti lavorativi e formali.

Fra tutti gli strumenti e i mezzi della comunicazione non verbale, la distanza interpersonale è di certo l’indicatore più informativo e probabilmente quello che utilizziamo in maniera più automatica quando incontriamo qualcuno (si pensi all’incontro con il proprio capo piuttosto che con il proprio partner).

Sin dagli studi etologici inerenti il rapporto tra spazialità e comportamento, è emerso  un utilizzo dello spazio come indicatore “sociale”; basti pensare ad esempio alla demarcazione del territorio dei cani, o alla gerarchizzazione spaziale come principio di organizzazione sociale nelle scimmie: insomma lo spazio e il suo utilizzo regolano le nostre interazioni sociali (si pensi ad un modo di dire molto comune “tieni le distanze” per indicare di evitare una relazione magari dannosa o nociva).

Nello scambio interpersonale lo spazio tra gli individui è delimitato dal proprio corpo che si muove e definisce la distanza fisica, emotiva e sociale tra loro. A tal proposito l’antropologo Edward T. Hall ( 1963) ha utilizzato il termine prossemica, proprio per indicare lo studio dell’utilizzo dello spazio che regola i rapporti interpersonali. Secondo Hall, per l’essere umano il confine del proprio corpo non corrisponde a quello fisico costituito dalla pelle o dagli abiti indossati, bensì esisterebbe una sorta di “bolla invisibile”, detta “spazio personale”, nella quale non è gradita l’intrusione altrui. Egli parla di una “dimensione nascosta” con cui definisce la distanza interpersonale, quella che la persona mette tra sé e gli altri, la quale identifica l’intimità del rapporto tra gli interlocutori, le relazioni di dominanza e i ruoli sociali e ne distingue quattro tipologie:

  1. distanza intima: ovvero lo spazio che circonda il proprio corpo (0-50cm), implica intimità, confidenza, fiducia reciproca;
  2. distanza personale: è la distanza che si tiene negli incontri sociali tra individui che si conoscono o si stanno conoscendo ( colleghi, amici meno stretti). Come confine è considerato quello segnato del braccio proteso, distanza entro la quale si potrebbe, volendo, allungare il braccio e afferrare l’altro. A questa distanza si può ancora discutere di argomenti personali ma la forza della voce è moderata e non si percepisce il calore del corpo dell’altro, cosa in grado di instaurare intimità o mettere a disagio gli altri. (50cm-1,20 mt);
  3. distanza sociale: riservata agli incontri formali come per esempio gli incontri di lavoro o occasionali ( 1,20 mt-3, 50 mt); è la distanza più usata tra persone che lavorano assieme, entro la quale si svolgono incontri formali, oppure permette alle persone che lavorano a contatto col pubblico di svolgere le proprie mansioni senza essere obbligate alla conversazione;
  4. distanza pubblica: zona preferenziale per le occasioni di incontri formali come conferenze, meeting; non implica coinvolgimento tra i presenti ( oltre i 3,50 mt).

Le recenti prescrizioni ci impongono di bypassare completamente la zona intima e di regolare tutte le nostre relazioni al limite tra una distanza personale e sociale (molto più sicura quest’ultima). Allo stesso modo, anche la nostra gestualità, da sempre elemento fondante della nostra comunicazione non verbale, va rivisitata e adattata agli standard prescritti. Insomma, baci e abbracci andranno dispensati con cautela, meglio se rimandati ad un momento migliore.

Queste nuove “regole” da osservare stanno stravolgendo senza dubbio il nostro modo di relazionarci con le persone, ma d’altro canto posso aprire o ri-aprire le porte a diverse modalità di comunicazione, modalità che la distanza o la vicinanza non possono compromettere. Possiamo infatti comunicare con ogni gesto, con ogni comportamento, essendo di fatto impossibile riuscire a non comunicare. E’ questo infatti che tuona a gran voce il primo dei cinque assiomi della comunicazione, elaborati dal grande Paul Watzlawick e dal suo gruppo di ricerca del Mental Research Institute  che hanno studiato a lungo la comunicazione, la sua influenza sulle persone e gli effetti che ha sul comportamento, riassumendoli nel libro-bibbia sulla comunicazione: Pragmatica della Comunicazione Umana.

Qualunque nostro comportamento comunica qualcosa, perché di fatto non esiste un non-comportamento cosi come non esiste una non-comunicazione. Qualsiasi cosa facciamo o diciamo comunica qualcosa agli altri e a noi stessi.

Ciò che al momento non possiamo comunicare con i gesti, possiamo comunque comunicarlo con le parole: parole che sempre più e troppo spesso diamo per scontate o lasciamo sullo sfondo di gesti e comportamenti che consideriamo ugualmente eloquenti. Sfruttiamo questo momento per riprendere l’abitudine a comunicare con le parole ciò che c’è dietro un bacio, un abbraccio o una vicinanza tra due persone.

Non diamo per scontate le parole, utilizziamo questo momento per dare voce al non detto, a quello che troppo spesso ci teniamo dentro o tratteniamo per i motivi più disparati. E’ il momento di dargli voce.