Perfezionismo: solo un ostacolo o un lato “buono” è possibile?

Perfezionismo: solo un ostacolo o un lato “buono” è possibile?

Partiamo dalla fine: non c’è una risposta univoca e definitiva.

Come avviene per la maggior parte dei costrutti psicologici, la ricerca non ha prodotto risultati sempre sovrapponibili, ma spesso discordanti, proprio a causa delle difficoltà di operazionalizzare e misurare determinati costrutti.

Scopo di questo articolo e raccogliere alcune delle principali posizioni presenti in letteratura rispetto al perfezionismo e alle sue implicazioni sul benessere della persona.

Iniziando ad entrare un po’ nel merito del tema, tutti sperimentiamo il bisogno di sentirci efficaci, competenti, realizzati, in grado di  e, soprattutto, che questa nostra competenza venga riconosciuta, apprezzata e sostenuta, al fine di alimentare e sostenere il nostro valore.

Questo perché, generalmente, fin da piccoli veniamo esortati a migliorare le nostre prestazione e ad “accettare” di essere oggetto di valutazione dal parte degli altri.

Per soddisfare questi bisogni, costruiamo degli scopi ah hoc,  da perseguire nel corso della nostra vita.

I bisogni psicologici fondamentali, al pari dei bisogni fisici, guidano, infatti, il nostro sviluppo e la costruzione della nostra personalità, sostenendo il benessere psicofisico.

Il perfezionismo è un costrutto che da sempre ha interessato la ricerca in ambito psicologico (ma non solo)e che da sempre divide la ricerca psicologica, non solo per la sua rilevanza clinica: anni e anni di studi sul tema, hanno prodotto, infatti,  risultati contrastanti, senza riuscire a trovare un accordo rispetto alla definizione del comportamento perfezionistico e di come esso possa essere operazionalizzato al fine di renderlo misurabile.

Questo ha reso difficile la ricerca ed anche la possibilità di generalizzare i risultati.

Una questione particolarmente oggetto di dibattito negli ultimi anni, a tal proposito, è stata quella relativa alla possibilità di considerare, o meno, una dimensione “adattiva” del perfezionismo.

In altre parole, considerare il perfezionismo come un continuum, da un livello di funzionalità e adattamento, a un livello di disfunzionalità e intensa compromissione del benessere psicologico.

Esiste, dunque,  un perfezionismo funzionale, adattivo, che possa fungere da attivatore di una crescita personale?

Il desiderio di migliorarsi e di mantenere standard elevati, non sono necessariamente sintomo di perfezionismo.

Anzi, il desiderio di migliorarsi può  servire ad ottenere successo, a raggiungere degli obiettivi importanti, attraverso un comportamento focalizzato.

Il perfezionista, a differenza della persona spinta da un intenso bisogno di realizzazione e miglioramento, arriva a non dipingere le pareti di casa perché non riesce a decidere tra due tonalità di bianco, arriva a non produrre nulla di concreto sebbene le centinaia di ore di studio, arriva a denigrarsi e criticarsi ferocemente perché, di fronte ad un successo, avrebbe dovuto fare di meglio o farlo in meno tempo e con minor risorse.

Da questo punto di vista, diverse  ricerche  sembrano convergere su una posizione che vede il perfezionismo come un fattore di vulnerabilità per la persona, che ha molto spesso conseguenze negative considerevoli, specialmente quando nella vita si verificano eventi difficili e stressanti (Hewitt & Flett, 2020).

Il perfezionismo sembra intaccare profondamente il funzionamento interpersonale ed emotivo di una persona, andando ad aumentare il livello di distress personale: in altre parole, sembra che il perfezionista non riesca a riconoscersi e a godersi i risultati ottenuti, nonostante criteri oggettivi di successo.

Al contrario, i perfezionisti che ottengono dei successi, possono diventare così auto-denigratori da sviluppare delle credenze del tipo “ Beh, ci sono riuscito, ma non avrei dovuto faticare così tanto per farcela”. Questo modalità di lettura diventa talmente pervasiva, da deprivarli di ogni possibile senso di soddisfazione, lasciando posto a degli incolmabili vuoti (Blatt, 1995; Hewitt & Flatt, 2020).

La lente del perfezionismo colora tutto ciò che  la persona vede, rendendo difficile concepire uno spazio libero dalla sua presenza e dal continuo richiamo a “fare di più” e ad “evitare errori”.

Ma tornando alla possibilità di un “perfezionismo adattivo”, questo concetto è apparso originariamente in un articolo di Hamachek (1978), nel quale si affermava che il perfezionismo potesse portare a dei risultati adattivi, arrivando a descrivere un certo tipo di perfezionismo definito proprio “perfezionismo normale”.

Sebbene questo concetto sia presente in diverse ricerche e in diversi studi, vi è poca chiarezza teorica, oltre che operativa, rispetto a cosa ci sia di “adattivo” nel perfezionismo adattivo: questa scarsa chiarezza, ha portato infatti a operazionalizzazioni molto diverse tra loro del concetto di perfezionismo adattivo/sano, utilizzando termini diversi per definire lo stresso costrutto (si veda ad esempio, Blasberg, Hewitt, Flett, Sherry &Chen, 2016).

Su questo tema, altri studi sono arrivati alla conclusione che quello che è stato definito come “perfezionismo adattivo” , abbia più a che fare con il bisogno di autorealizzazione (Maslow, 1943) o il bisogno di competenza (Deci & Ryan, 1985), da cui non è stato chiaramente distinto né concettualmente né empiricamente.

A differenza del perfezionista, per il quale “niente è mai abbastanza” la persona spinta da un intenso bisogno di realizzazione è soddisfatta dei propri risultati che vengono percepiti come gratificanti e significativi.

Verso la metà degli anni ’80, Deci e Ryan, per spiegarela motivazione umana, propongono la Teoria dell’Autodeterminazione (SDI), secondo la quale il benessere psicologico di un individuo è il risultato della soddisfazione di tre bisogni psicologico fondamentali (Deci & Ryan 1985, 2000[1]).

 I tre bisogni fondamentali sono:

  1. il bisogno di autonomia, attraverso il quale il soggetto percepisce di essere lui stesso la causa delle proprie azioni anziché pressioni provenienti dall’ambiente esterno;
  2. il bisogno di competenza, attraverso il quale l’individuo si sente efficace nella sua interazione con l’ambiente e nell’esercitare ed esprimere le proprie capacità;
  3. il bisogno di sentirsi in relazione con gli altri, il quale implica un senso di appartenenza ad una certa comunità, gruppo o cultura.

Deci e Ryan (2000) nei loro studi evidenziarono che è proprio la soddisfazione di questi bisogni intrinseci di competenza, di autonomia e di relazionalità, a motivare le azioni con le migliori performance e a sostenere il benessere individuale.

Da questa prospettiva, un lato adattivo del perfezionismo, potrebbe allinearsi con il bisogno di competenza e realizzazione, che ci spinge a ricercare il miglioramento continuo, attraverso un comportamento determinato verso i propri obiettivi e verso la crescita personale piuttosto che verso il riconoscimento esterno o l’evitamento del fallimento.

Quando siamo mossi dal bisogno di competenza e realizzazione, siamo mossi da un’elevata motivazione intrinseca, ovvero vogliamo migliorare non per piacere agli altri o per essere approvati dagli altri, ma per il piacere di agire le nostre capacità e di sperimentarne l’efficacia: lavorare ad alti livelli, viene percepito come qualcosa di stimolante e non stressante.

Quand’è  allora, che siamo spinti dal bisogno di realizzazione piuttosto che dal perfezionismo disadattivo?

  • Quando le nostre azioni sono motivate dal raggiungimento dei nostri obiettivi, che vengono percepiti come gratificanti e significativi (piuttosto che motivate dall’evitamento degli errori);
  • Quando ti focalizzi sui progressi e non solo sul risultato, apprezzando ogni passo che compi in avanti;
  • Quando includi gli errori come parte inevitabile nel processo di crescita e miglioramento.
In altre parole, sebbene ad oggi non vi sia ancora accordo nella letteratura,  a differenza del perfezionismo disfunzionale e disadattivo che si nutre della paura del fallimento e del senso di inadeguatezza, minando quello che si propone di raggiungere, un lato positivo del perfezionismo potrebbe essere quello alimentato dal bisogno di competenza e realizzazione, nonché dal piacere che deriva dal realizzare le proprie competenze e capacità, per una crescita personale continua.

Bibliografia di riferimento 

Blasberg, J. S., Hewitt, P.L., Flett, G.L., Sherry, S.B., Chen, C. (2016). Tre importance of idem wording. Tre distinction between measuring high standards verissimo measuring perfectionsim and why it matters, Journal of Psycho-educational assessment. Epub ahead of print.

Hewitt, P.L., Flett, G.L.& Mikail, S.F. (2020). Perfezionismo. Un approccio relazionale alla comprensione, alla valutazione e al trattamento. Roma: Giovanni Fiorini Editore srl

Milanese, R. (2020). L’ingannevole paura di non essere all’altezza.Milano: Ponte alle Grazie (Adriano Salani Editore)

[1] Deci E.L., Ryan R.M. (1985). Intrinsic motivation and self-determination in human behaviour, Plenum, New York; Deci E.L., Ryan R.M. (2000). “The ‘what’ and ‘why’ of goal pursuit: human needs and self-determination of behaviour”, “Psychological Inquiry”, 11, pp.227-268.