La fiducia in sé non è un’etichetta: è un processo. Strumenti e prospettive dalle terapie brevi

La fiducia in sé non è un’etichetta: è un processo. Strumenti e prospettive dalle terapie brevi

“Vorrei avere più fiducia in me stessa/o.”

È una frase che sento spesso nel mio lavoro.

Molte persone vivono la fiducia come qualcosa che si ha o non si ha, un tratto definito una volta per tutte o stabilito comunque dalle sorti dei primi anni di vita.

Ma esiste un’altra prospettiva, che nulla vuole togliere all’importanza delle esperienze vissute nel corso della propria vita, ma aggiungere nuove possibilità: la fiducia non è un’etichetta da applicare sui propri abiti, ma un processo in continua evoluzione, che si costruisce attraverso esperienze, azioni e cambiamenti concreti.

Questa visione è centrale nelle Terapie Brevi, soprattutto quelle costruite all’epistemologia costruttivista.

L’epistemologia costruttivista, all’interno della quale hanno preso forma e sostanza le terapie brevi strategicamente orientate, offre strumenti, teorici e pratici, preziosi per cambiare prospettiva e intervenire attivamente nella costruzione del proprio valore, a partire dall’interazione con noi stessi, con gli altri e con il mondo.

Questa visione si fonda sull’idea che la realtà, compresa quella relativa al nostro valore personale, non sia data una volta per tutte, ma venga costruita attraverso il nostro modo di interpretare e rispondere al mondo. Da questa assunzione, deriva che qualunque condizione ci troviamo a vivere, è il prodotto di un’attiva relazione tra noi stessi e ciò che viviamo.

Ognuno costruisce la realtà che poi subisce

Il modello costruttivista: costruisci chi sei attraverso le storie che racconti

Grazie ad autori come Ernst von Glasersfeld, Humberto Maturana e Heinz von Foerster, il costruttivismo si afferma come corrente epistemologica rivoluzionaria, sottolineando come gli esseri umani creino significati soggettivi piuttosto che scoprire realtà oggettive.

Applicato ai costrutti psicologici, il costruttivismo ci invita a vedere l’autostima e la fiducia in sé non come qualità innate o data per natura, ma come vere a proprie costruzioni narrative attraverso le quali interagiamo con noi stessi, con gli altri e con il mondo. Secondo questa prospettiva, ciò che pensiamo di noi stessi dipende dalle storie che raccontiamo su chi siamo, storie che possiamo attivamente modificare per migliorarci.

Per questo la fiducia in sé non è un dato biologico o caratteriale, ma un esito narrativo ed esperienziale.

“Non vediamo le cose come sono, ma come siamo.”

(Citazione attribuita a diversi autori, tra i quali, Anais Nin e ripresa anche da Jung).

Come lavorano le Terapie Brevi nella pratica?

Quando parliamo di “costruire fiducia in sé”, le Terapie Brevi non si soffermano soltanto sul perché una persona non si sente sicura. Al contrario, spostano l’attenzione su come la persona si comporta quando la fiducia si attiva — anche solo per pochissimo. È un cambio di prospettiva radicale: dalla spiegazione al funzionamento. Vediamo in che modo:

1. Si cercano le eccezioni, non le conferme del problema

Invece di chiedere “Perché non riesci ad avere fiducia?”, si indaga:

“Quando ti sei sentita anche solo leggermente più sicura? Che cosa hai fatto di diverso, anche senza accorgertene?”
L’idea è che il cambiamento non va inventato da zero: è già presente in forma embrionale nella storia della persona. Il lavoro consiste nel farlo emergere e replicarlo.

2. Si fa leva sulle risorse già presenti

La terapia breve parte dal presupposto che ogni persona possieda già competenze, strategie e forme di resilienza. A volte sono nascoste sotto auto-giudizi e convinzioni limitanti. Il compito del terapeuta non è “insegnare” fiducia, ma aiutare la persona a riconoscere e utilizzare ciò che già funziona.

3. Si interrompono le tentate soluzioni disfunzionali che mantengono il problema

Quasi sempre, ciò che mantiene bassa la fiducia non è la mancanza di capacità, ma ciò che la persona fa per proteggersi (e correggersi!): perfezionismo, evitamento, ipercontrollo, richiesta continua di rassicurazioni…
Le Terapie Brevi lavorano per fermare questi automatismi, perché ciò che sembra una difesa si trasforma spesso nella principale fonte di blocco.

4. Si utilizza il “come se” strategico e maieutico

Una tecnica apparentemente semplice, ma potentissima:

“Se da domani ti comportassi come se avessi già la fiducia che desideri, quali sarebbero i primi segnali visibili? Da cosa te ne accorgerai?”Agire anche per brevi momenti “come se” produce esperienze correttive: non si aspetta di sentirsi sicuri per agire, si agisce per diventarlo.

5. Si costruiscono micro-azioni che cambiano la percezione di sé

Nella Terapia Breve non si chiede alla persona di “pensare diversamente”, ma di sperimentare diversamente. Anche piccoli comportamenti — fare una telefonata rimandata, dire un “no” chiaro, chiedere aiuto in un contesto sicuro — generano prove concrete di efficacia. È là che la fiducia cresce, non nei ragionamenti astratti.

Attraverso il lavoro con le Terapie Brevi non ci si limita a parlare della fiducia: la si  fa accadere nella realtà, un’azione alla volta, fino a rendere credibile e sostenibile un nuovo modo di percepirsi e di agire nei confronti di se stessi, degli altri e del mondo.

Non è un lavoro sulla motivazione, ma sull’esperienza.

La fiducia non si attende: si allena.

Bibliografia di riferimento 

Branden, N. (2012). I sei pilastri dell’autostima.

Nardone, G. & Milanese, R. (2018). Il cambiamento strategico. Ponte Alle Grazie 

Humberto Maturana& Francisco Varela (1987). The Tree of Knowledge.

E. von Glasersfeld (1995). Radical Constructivism: a way of knowing and learning. (trad. it., “Il costruttivismo radicale. Una via per conoscere ed apprendere, 2016).

 

Sono Selena Tomei, psicologa.

Aiuto adulti e giovani adulti a liberarsi dal perfezionismo, riconoscere il proprio valore e trasformare lo stress in un alleato del cambiamento attraverso percorsi di Terapia Breve in studio a Civitavecchia e online.